L’ Esperanto, a riflettori spenti sul Festival, ci regala una Storia Vera !
di Franco Giannini
Tutte le favole, o quasi tutte, cominciano con un “C’era una volta”, questa che favola non è, anche se potrebbe sembrarlo, inizia, quindi, con una semplice descrizione del luogo ove è ambientata la storia.
Ci tengo subito a precisare, per non far perdere tempo a chi non piace le storie toccanti, che questa invece è proprio una di quelle.
Lo scenario è quello della savana brasiliana, il teatro su cui si svolgono i fatti, è una Fazenda denominata Bona Espero, posizionata a 250 km a nord di Brasilia.
Una fazenda di 1000 ettari di cui pochissimi coltivati. Quelli lavorati sono ad orto, a frutta (arance, mandarini, nespole, manghi ecc.) ed a canna da zucchero, perché purtroppo, le braccia adulte che vi lavorano sono solamente quelle di sei, sette persone, tutti gli altri 30 abitanti, che compongono il nucleo abitativo di Bona Espero, sono bambini e ragazzi fino a 14-15 anni.
Si, perché questa fazenda, altro non è che una “Casa-Famiglia” come verrebbe chiamata in Italia, ma là in Brasile,…. è tutta un’ altra cosa.
Ursula e Giuseppe sono i due “zii” che si occupano di tutto e di tutti.
Lei, che è tedesca, interprete alle tristi Olimpiadi di Monaco e successivamente alla Fiat di Torino, conosce in un congresso esperantista un allora giovane Giuseppe, italiano che quale tecnico progettista di trattori non poteva che lavorare a Torino ed anche lui alla Fiat . Galeotto comunque fu l’ esperanto,…. che benedisse tutto con il matrimonio
I Grattapaglia, questo il loro cognome, creano subito la famiglia arricchendola con due figli maschi, ed è quando uno ha compiuto i 15 anni e l’ altro è appena dodicenne, che comincia la storia vera e propria. Un bel giorno, eravamo nel 1974, sfogliando casualmente una rivista esperantista, leggono una richiesta di aiuto proveniente dal Brasile, in cui le persone che gestivano la Bona Espero, erano costrette ad abbandonare la missione (non ne conosco i motivi) e cercavano dei sostituti altrimenti dovevano chiudere lasciando naufragare ancora una volta i naufraghi ospitati.
Ursula e Giuseppe ci pensano un attimo per ponderare la cosa, e subito decidono di accettare l’ incarico, abbandonando l’ Italia per andare a provare “….ma solo per un anno” o almeno questo era il loro obiettivo.
Dopo 31 anni sono ancora là.
A parte il coraggio di aver lasciato il certo, per l’ incerto, a parte il fatto di aver trascinato nell’ impresa i due figli adolescenti, a parte il fatto che non sapevano quali problemi avrebbero trovato, al ritorno in Patria, alla conclusione dell’ “anno sabbatico”, tutta la loro energia vitale, la dimostrarono quando presero visione di ciò che li aspettava, cioè quando giunsero alla fazenda.
Dicevo 1000 ettari di savana, 250 km dalla città, solo tre i paesi che si incontrano lungo il percorso e di cui il più vicino, di appena 3000 abitanti, è Alto Paraiso, ma si trova a 20 km.
Da tener presente che i 20 km di strada, non è ben inteso come li intendiamo noi, ma sono semplici tracciati lasciati più dall’ uomo che dall’ uso del suo intervento a tale scopo.
Ma passare da uno stato di demoralizzazione ad uno di interna gioia per quello che ci sarebbe stato da fare per quegli esserini che schiamazzavano ridendo felici di quel clima, per loro, di festa, fu un attimo.
Ursula, da vera “tetesca di ghermania”, dettò le prime regole tutt’ora in vigore: Rispetto ed Esperanto.
Giuseppe da par suo, non poteva che rimboccarsi le maniche e cominciare a costruire, costruire e costruire, tutto ciò che mancava e che oggi è li: tutto frutto, realmente partorito dalla sua genialità e dalla forza delle sue braccia.
Ursula, a tutt’oggi, da buona “zia”, si occupa delle case, dell’ istruzione dei 30 ragazzi, dell’ insegnamento scolastico e con il complemento dell’Esperanto, la lingua che accomuna i vari volontari che di volta in volta vanno a far visita alla comunità, con le provenienze più disparate.
L’istruzione delle prime 4 classi della scuola elementare e delle prime 4 delle medie, vengono svolte a Bona Espero. Poi per le superiori si va a Alto Paraiso, dove è stata costruita una piccola casetta che ospita i ragazzi iscritti a frequentare la scuola media superiore.
Chi è poi meritevole degli studi universitari, viene mandato a Brasilia.
Tutto questo grazie agli aiuti, anche se modesti, che provengono soprattutto da esperantisti tedeschi ed Italiani.
Giuseppe, in questi 31 anni, ha costruito altre quattro case (si legge case, ma si intendono locali al pian terreno, e senza gli agi di noi cittadini!!), creandosi i materiali, quali legname e mattoni, con le sue mani. Ha costruito un ponte in cemento armato, l’ unico della regione Goyasse (due volte la superficie dell’Italia), che non sarà certo quello di Brooklyn, dal momento che misura solo una decina di metri, ma identica se non maggiore, forse ne è l’ utilità, vista la sua ubicazione. Ha costruito una pompa primitiva, ma funzionante, che porta l’acqua di un “bacino artificiale” utilizzando una cascatella di tre metri, per portarla ad un’ altezza di 24 m, facendo beneficiare di questo agio, tutto il complesso.
A Bona Espero non si ricevono le stazioni radio, non funzionano i cellulari, sconosciuta è la televisione, non ci sono telefoni fissi. L’ unica comunicazione con il “mondo civile” la si ottiene attraverso un ponte radio che onestamente non so come funzioni.
L’ unica cosa nuova, ben funzionante, viste le strade ed i chilometraggi da fare, è un’automobile Polo, che gli “zii” hanno avuta in dono in occasione di un anniversario di matrimonio (nozze d’ argento) di loro amici-sostenitori, i coniugi Grassini - Bottegoni.
Il parco macchine, è completato da un pulmino, vecchio, per il trasporto di merci e di bimbi quando ciò necessita.
La dieta applicata da zia Ursula, per necessità fatta virtù, non poteva che essere quasi totalmente vegetariana con menù a base di fagioli, riso, erbe cotte, frutta, pane ma anche dolcetti casalinghi, addolciti con lo zucchero di canna, caffè.
Ogni tanto capita anche qualche volontario pieno inizialmente di buoni propositi, che però presto rinuncia, lasciando l’ abitazione (di una sola stanza) che si stava costruendo o che si era costruito e che viene subito occupata da qualche membro delle famiglie dei cinque o sei “operai” stabili.
I bambini vengono portati dalla Polizia, quando si verificano drammi famigliari, dai Tribunali quando si verificano casi pietosi di violenze e dalle stesse famiglie, quando non sanno più come fare per dare da mangiare a tante bocche.
Lo Stato interviene concedendo un sussidio pari al fabbisogno di pane per due giorni al mese. Si avete letto bene: pane per soli due giorni ogni mese.
Sicuramente manca tutto, quello di cui qui c’è abbondanza è la dignità di una povertà condotta con il sorriso, senza una speranza, perché non si conoscono i mali che attanagliano le culture del nostro mondo “civile” che noi chiamiamo “esigenze”.
Il loro antidoto è il sapersi accontentare di ciò che hanno, del resto altro non conoscono!
I veri narratori di questa storia, io ne sono solo il trascrittore, sono il prof. Aldo Grassini e la moglie Daniela, entrambi non vedenti, ma con animi sensibilissimi. Sono appena ritornati dal Brasile dove hanno visitato la comunità, portando abiti ed altro in dono che i nostri negozi di abbigliamento avrebbero mandato al macero perché non più di moda, ricevendone in cambio tante positive esperienze di vita che resteranno sempre attuali nel fondo dei loro cuori.
Tra l’altro, mi raccontavano di un’ esperienza vissuta nei giorni di loro presenza.
La Polizia porta una bambina di nove anni, proveniente da una famiglia numerosissima, il cui padre si era suicidato in carcere. Affamata, sporca, vestita con degli abiti (si fa per dire) stracciati.
Ursula, immediatamente la lava, la veste e gli dà qualche cosa da mangiare….e dalla vocina della bimba, appena divorato ciò che c’era nel piatto, abbracciando quella che sarà la sua zia le diceva “ Che Dio ti aiuti…per avermi dato da mangiare!!”. Detto da una bimba tolta dalla strada, senza istruzione, ad una persona per lei ancora sconosciuta, che si era saputa, però,. con amore materno attirare la simpatia di questo essere spaventato, ma conscio di aver risolto tutti i suoi problemi.
Tanto ci sarebbe ancora da narrare, da episodi drammatici, crudi, a toccanti e di felice esito.
Vi chiederete, e i figli degli zii? Il più grande lavora all’Ambasciata a Brasilia, il piccolo, ormai 43enne, è un luminare nel campo della genetica.
Chiudo con una curiosità: Sapete come termina la serata a Bona Espero? Con l’ augurio ed il bacio della Buona Notte dei ragazzi agli zii, prima di coricarsi…un gesto di rispetto, ringraziamento e di educazione da noi ormai perdutosi nella notte dei tempi, almeno per molti.
BONA ESPERO: UNA STORIA VERA
Pubblicato da Gruppo Esperantista Marchigiano alle mercoledì, marzo 26, 2008
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